È il 1997 e i "vecchi bambini" degli anni ’70 si stropicciano gli occhi.
Ma che daverodavero? Ritorna?
Voci. Rumors. Speranze. E poi conferme. Discorsi fatti di ricordi e di futuro.
Perché poi, ormai è certo, arriverà un nuovo film. Anzi no, una nuova Trilogia.

Non l'abbiamo ammesso tutti con facilità, ma rifare la fila alla cassa pervasi da quella dolce agitazione allo stomaco, da quella trepida e impaziente attesa che nulla ha a che spartire con la rassegnata razionalità di una donna adulta (cosa che comunque continuo a non avere), è stato un dono insperato.
Come tanta altra gente, ho un attaccamento speciale alla saga di Star Wars.
'Ma va?'
No, giuro.
Io mi ricordo l'emozione di quando nel 1999, giovane ed entusiasta, andai a vedere la prima di Episodio I, circondata da centinaia di persone con la mia stessa passione.
Partita la fanfara di Williams mi son venuti i lucciconi istantanei. Poi, grazie a quella blasfemia che è quel film di merda, il cinismo è tornato e mi sono ricordata che il sentore della minchiata ce l'avevo avuto.
Due anni prima, per la precisione.
Durante il famoso RESTAURO.

Anzi, il REVISIONISMO DI LUCAS.
L'abominio che ha posto le basi per la Nuova Trilogia.
Cos'è successo di preciso?
Non lo so: so solo che volevo strapparmi gli occhi a causa dell'affronto perpetrato nei confronti della sua creazione. O per meglio dire, nei confronti di alcuni di quei punti cardine che ne hanno determinato la peculiarità e il successo.
Nella circostanza parlo dei personaggi, in riferimento non tanto al loro ruolo narrativo, ma soprattutto a quello "caratterizzante".

Come ci erano stati proposti nella Trilogia classica?
Archetipici, certo, è inutile nasconderlo.
Star Wars (IV) pare scritto col bigino dello sceneggiatore a fianco (e non escludo che possa essere andata davvero così): il mago, la principessa, gli incantesimi, il cavaliere nero, il cow boy e i gangsters.
Ma rielaborati in una veste assolutamente nuova e, soprattutto, permeati da connotazioni morali mai nitide.
Tutti partono da un’imperfezione di fondo, per poi compiere delle scelte in modi, direzioni e tempi diversi. Ciò che piace di loro è il loro essere autenticamente uomini, esemplari in potenza ma non nei presupposti.

Tralasciando l’eclatante esempio di Vader, possiamo pensare a Leia, decisa ma tendenzialmente nevrotica e sentimentalmente problematica.
A Luke, predestinato ma ancora inesperto e spesso impacciato.
Al suo mentore Obi-Wan, saggio maestro dal passato costellato di errori e superbia.
E ancora ad Han Solo e Lando Calrissian, idealisti nel profondo ma ancora legati a una vita fatta di cinismo e opportunismo.
Una "miscela" rivelatasi, di fatto, quanto mai vincente.

Quindi perché dopo vent’anni, maledetto ciccione, hai sentito la necessità di sputtanare tutto questo?
[Star Wars (IV) indica la versione originale del '77 mentre con New Hope intendo la revisione del '97]

Perché, in A New Hope revisionato, ci ritroviamo Greedo che spara per primo a Han Solo?
È forse questo l’esempio più limpido della manipolazione concettuale attuata da Lucas, ancor più evidente perché coinvolge una delle scene "istituzionali" della Saga. È l’entrata in scena del contrabbandiere condotto al mito da Harrison Ford, e lui più di tutti ha una strada lunga da percorrere: contrabbanda spezie (presumibilmente l’equivalente della nostra droga), chiacchiera a quattr’occhi coi gangster e coi cacciatori di taglie, e - siamo onesti - se prende a bordo quel gruppo di scappati di casa composto da un vecchio pazzo, uno sbarbato e due ridicoli droidi lo fa soltanto per i soldi.
In una galassia cinematografica dove, in mezz’ora di film, tutti si affrettano a schierarsi a favore o contro il "malvagio Impero Galattico", Han Solo ci mostra "l’altra" galassia: quella che si fa i cazzi propri, sperando di campare cent'anni.
Cinica, pragmatica, impervia a ideali e a codici d’onore: il mio pane.
Nel mondo del crimine di Star Wars, dove riportare a casa la pelle a fine giornata è già un trionfo, Han Solo non si fa scrupolo a sparare di nascosto da sotto un tavolo al cacciatore di taglie che sperava di sopravanzarlo in astuzia.

Certo, è pur sempre un film che più derivativo non si può, quindi sappiamo cosa succede: che poi, in qualche modo smosso dalla fede cieca ma incrollabile di un ragazzino, dalla fermezza fin troppo ostinata di una principessa figa (che non guasta mai) e dal sacrificio finale di un vecchio, Han Solo finirà per abbandonare la via del profitto e della scelta "più furba". Ma l’urlo di trionfo con cui salva la vita a Luke nel canale della Morte Nera è tanto più esaltante quanto è lunga la strada che ha percorso per arrivare a quella svolta. Lo spettatore gioisce e si entusiasma se vede che la causa per la quale tutti i piloti ribelli stanno dando la vita, dal primo all’ultimo, ha finito per coinvolgere anche il più incallito dei cinici, anche quello che sparava agli alieni da sotto i tavoli.

Ma se Han Solo non è poi questa merda fin dall’inizio... Se è tutto sommato uno sveglio ma fondamentalmente onesto che ha solo l’accortezza di tenere la pistola sfoderata sotto il tavolo, ma che aspetta sia l’altro a fare fuoco prima di usarla (il solo aver messo in sequenza i due concetti ne evidenzia l’assurdità logica), allora l’"inaspettata conversione" finale non rappresenta più questo grande shock emotivo.
Anzi.
Risultato finale: la figura di Han Solo ne esce più intonsa moralmente fin dall’inizio, ma il pathos narrativo del film è andato a suicidarsi in un angolo.

Perché, sempre in A New Hope, ci presenti attraverso una evidente forzatura, la disarmonica versione di un simpatico Jabba digitale che nulla ha che spartire con l’icona, analogicamente efficacissima, dello spietato malavitoso che gli apparteneva?
Perfino l’entrata in scena "graduale" del personaggio contribuiva a far crescere le aspettative al riguardo: nel primo film se ne fa il nome, nel secondo arrivano i suoi emissari, nel terzo lo incontriamo di persona.
E non delude le aspettative: una massa opprimente e monolitica che sembra bloccare in ogni senso il cammino degli eroi della Saga, narcisista e pericolosamente capriccioso.
Sfido chiunque, però, a rimanere intimidito quando, con gli occhi di C-3PO ed R2 D2, scoprirà che lo spietato Jabba non è altro che il non così possente vermozzo che abbozza stringendosi nelle spalle mentre il suo sgherro, Han, gli passeggia sulla coda.

Da qui alla deriva di Episodio I, dove il concetto mitologico starwarsiano di responsabilità e di colpa (specialmente per ciò che concerne la scelta di Obi-Wan nei confronti di Anakin, ma più in generale in rifermento a tutti i personaggi che ruotano attorno al Chosen One) è completamente latitante, è un attimo.
I passi successivi, poi, sono stati i robottini dispettosi di Mos Esley e le evoluzioni di Jar Jar Binks ispirate a Jerry Lewis.

Pensiamo soltanto alla scena d’apertura di Star Wars (IV): sparatoria all’ultimo sangue tra i Ribelli disperati che difendono la nave di Leia e gli interminabili Stormtroopers che la assaltano; tempo due minuti, e con l’entrata in scena di Darth Vader ci viene proposto lo strangolamento di un prigioniero inerme. Più "guerra" vera e diretta in pochi istanti di quanta ne vedremo nell’intero Episodio I, dove anzi ci si premura di tranquillizzare i bambini che lo scorretto ma simpatico Sebulba non è esploso col suo Pod Racer, ma è atterrato sano e salvo tra un cumulo di rottami.

E lo stesso vale per l’incruenta e asettica battaglia finale di Naboo, dove il concetto e la raffigurazione della morte e della paura sono completamente assenti. Dove i droidi da battaglia, anziché temibili killers tecnologici, sembrano essere il bersaglio facile e preferito di qualsiasi creatura vivente, Jedi, Gungan, guardia reale o premurosa ancella che sia.

Insomma: il revisionismo ha fatto del male alla saga.
JJ Abrams, capisci ora perché siamo così agitati?
Non ci fidiamo, tutto qui.

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Edna Von V
Se c'è qualcosa di più importante del mio ego su questa nave, la voglio catturata e fucilata.

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